PERSONE E PERSONAGGI

Alessandro Verri (1741-1816) Pierre Musitelli

Alessandro Verri (1741-1816), laureatosi in giurisprudenza a Pavia nel giugno del 1760, conservò sempre un pessimo ricordo dell’educazione ricevuta in collegio e, più in generale, della gioventù, trascorsa in un ambiente familiare austero e bigotto. Quando il fratello Pietro tornò a Milano nel 1761, dopo un anno trascorso a Vienna, invitò Alessandro, allora ventenne, a far parte della piccola società di giovani nobili battezzata Accademia dei Pugni, che per cinque anni ingaggiò una battaglia culturale contro il conservatorismo del governo e contro i pregiudizi della società milanese. Alessandro, che diede alle stampe trentuno articoli per la rivista Il Caffè (1764-1766), fu uno dei protagonisti della stagione lombarda dell’età illuministica. Dalla celebre Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca ai più gravi saggi di argomento giuridico e storiografico, impersonò di volta in volta la figura del filosofo o del misantropo, dell’osservatore caustico o del moralista, oscillando tra il «riso di Democrito» e «le lagrime» di Eraclito. Tra il 1764 e il 1766, compose un Saggio sulla storia d’Italia, che sintetizzava in poco più di 220 pagine manoscritte venticinque secoli di storia, da Romolo a Goldoni e Metastasio. L’opera, lasciata inedita, manifestava l’allontanamento dagli ideali enciclopedici e razionalistici e l’approdo a una visione del mondo meno progressista, segnata dalla tendenza allo scetticismo e dalla cristallizzazione di un amaro moralismo.
Il viaggio a Parigi con Cesare Beccaria, nell’ottobre del 1766, segnò lo scioglimento del gruppo dei Pugni e l’inizio di quella che sarebbe stata l’opera più imperitura di Pietro e Alessandro Verri, il loro carteggio bisettimanale, destinato a proseguire per oltre trent’anni, fino alla morte di Pietro nel giugno del 1797. Spazio di comunione, di collaborazione e, con il trascorrere del tempo, di dissensi, il Carteggio offre una delle più ricche testimonianze sulla storia, la cultura, la vita sociale e intellettuale del XVIII secolo. Questo fitto scambio epistolare documenta con eccezionale vivezza, nell’autunno del 1766, l’accoglienza dei viaggiatori milanesi nei salotti dei philosophes e il precipitoso ritorno in Lombardia dell’autore dei Delitti e delle pene. Da solo, Alessandro Verri prese la via di Londra, dove si trattenne per due mesi. Dopo essere ripassato a Parigi nel febbraio-marzo del 1767, fece ritorno in Italia e fissò la propria dimora a Roma, dove si invaghì della marchesa Margherita Boccapaduli Gentili, gentildonna colta che animava un salotto cosmopolita frequentato dai più importanti artisti, letterati e diplomatici del tempo.
Il primo quindicennio romano di Verri fu un fervido periodo di studi. Tradusse in prosa l’Iliade di Omero, Hamlet e Othello di Shakespeare, e compose tra il 1778 e il 1782 non meno di cinque tragedie, tra cui Pantea e La congiura di Milano, pubblicate a Livorno nel 1779 sotto il titolo Tentativi drammatici. Nel 1781 fece stampare a Roma Le avventure di Saffo, poetessa di Mitilene, meditazione romanzesca sulla forza delle passioni e sulla dolorosa aspirazione dell’individuo all’infinito, in cui riecheggiava la crisi dell’ottimismo razionalistico dei Lumi. Nel 1782, mise mano alla sua opera più celebre, le Notti romane, il cui tema (le ombre degli illustri Romani a colloquio intorno alle tombe scipioniche) gli era stato suggerito dalla scoperta, due anni prima, del sepolcro degli Scipioni lungo la via Appia. Pubblicata in due tomi nel 1792 e nel 1804, l’opera offriva una sintesi della cultura antiquaria del tempo e della letteratura apologetica cattolica.
Il fascino delle rovine lasciò il posto, negli ultimi scritti privati di Verri, in particolare nelle Vicende memorabili dal 1789 al 1801, edite postume nel 1858, all’espressione di uno straripante misogallismo e di un odio inestinguibile per la Rivoluzione francese e per Napoleone, esacerbati dall’esperienza traumatica della Repubblica Romana (1798-1799). Morì a Roma nel 1816.

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